La “casta” è altrove – Replica all’intervista a Danti sul Tirreno del 7 ottobre

di Roberta Fantozzi

Bisogna sapersi lasciare, nella vita come in politica.
Una relazione d’amore può finire, ma poi si possono ricostruire legami affettivi intensissimi. Oppure si può andare avanti con i rancori. E’ così anche in politica. Quando si rompe una storia comune, la lacerazione è forte. Poi si può elaborarla e ricostruire una relazione. Oppure si può continuare a recriminare, mistificando la realtà. Spiace dirlo ma l’intervista di Danti su Il Tirreno rivela questo tipo di rapporto con la storia di Rifondazione.
Danti critica chi “fa prima il segretario di zona, poi quello provinciale, e intanto magari il consigliere, quindi diventa parlamentare e pure il responsabile nazionale di qualcosa o il segretario regionale, poi il sindaco…”, ma non fa nomi. Eppure gli esempi non dovrebbero mancare anche nei confini cittadini. La critica resta incorporea: meglio non disturbare nessuno su questo versante. C’è pur sempre da entrare in una giunta!

Danti fa un solo nome come esempio di comportamento censurabile: quello della sottoscritta. Dunque di cosa mi sarei macchiata, per meritare una così esclusiva citazione? Di un elevato numero di assenze in Consiglio Regionale nella scorsa legislatura, e questo, a causa della mia ostinazione – suggerisce implicitamente Danti – a restare incollata alla poltrona, nonostante un incarico nella segreteria nazionale del partito. L’indeterminatezza circa il numero di assenze ovviamente lascia a chi legge la possibilità di immaginare la più ampia latitanza. E una si trova così iscritta al club dei consumatori nullafacenti di ostriche. Tanto più che le persone sono indignate, giustamente, per le cose che subiscono – tra tagli feroci alle pensioni, precarietà o perdita del lavoro – ed è facile finire nella lista di quelli su cui sfogare la propria rabbia.

Dunque è bene chiarire innanzitutto quella vicenda.
E’ vero che sono stata presente al 77% delle sedute e assente il 23%, e che l’incarico sopraggiunto, non mi consentiva di svolgere bene il ruolo di consigliera. Per questo avevo concordato, nel caso di conferma dell’incarico nazionale, di lasciare la regione, senza che Danti dovesse fare nessuna battaglia. Solo che, come Danti ricorderà, in quel momento era in corso una scissione. In vari contesti istituzionali, consiglieri trasmigravano altrove, senza sentire la necessità di rimettere il mandato, pur essendo stati eletti nelle liste di Rifondazione. Come Danti ricorderà il congresso regionale bocciò nettamente la sua richiesta di ricambio in regione perché la maggioranza del partito riteneva la persona che sarebbe subentrata, vicina a chi stava per uscire, come è poi avvenuto. Come Danti ricorderà, scrissi su Liberazione che confermavo per intero la disponibilità a lasciare, con l’unica richiesta che chi mi avesse sostituito confermasse la propria appartenenza a Rifondazione. Ad ogni livello di partito, in assenza di quelle certezze, mi fu chiesto di non dimettermi. Mi spiace rivangare cose sgradevoli, ma questa è la verità.

C’è tuttavia un altro aspetto. Ed è la contraddittorietà della posizione di Danti: portavoce di un partito il cui presidente è contemporaneamente a capo del governo di una regione di 4 milioni di persone. Come se Bersani, oltre che segretario del PD, fosse anche presidente dell’Emilia Romagna. Se c’è un esempio di doppio incarico, è questo. Perché non ne parla? Eppure in quel caso la contraddizione non riguarda solo il tempo a disposizione (si potrebbe dire che la sanità in Puglia andrebbe meglio se Vendola non avesse due incarichi), ma il ruolo. Per maggiore chiarezza, essere presidente di una maggioranza che ha come principale attore il PD e può cascare in conseguenza delle scelte di quel partito, può avere qualche contraddizione con la necessità di garantire l’autonomia di Sel? Sia chiaro che non scrivo per polemica con Vendola o Sel, ma perché non comprendo come Danti possa non rendersi conto.

Mi preme infine chiarire che non ho mai percepito doppie retribuzioni. Che assai raramente mi capita di lavorare meno di una sessantina di ore settimanali. Che mi sono ovviamente sempre attenuta alle regole di Rifondazione Comunista: ogni consigliere/a versa il 55% di quello che percepisce, per finanziare sedi, manifesti, e quanto serva all’attività politica. Che ho versato per cinque anni un contributo volontario aggiuntivo per il mutuo del partito. Pur non avendo case di proprietà e vivendo in affitto, ho ritenuto giusto che fosse prioritario l’acquisto della sede della comunità politica di cui faccio parte. Francamente la “casta” mi pare stia altrove.

Rispondi