Movida: servono politiche sociali e culturali, non repressione, perbenismo e decoro
A cura del
Circolo PRC “A. Gramsci”
Federazione di Pisa
Lo spettacolo che quasi ogni mattina si presenta alla città e a chi deve ripulire i luoghi della cosiddetta “movida” è assai deprimente: l’immondizia abbandonata, il tappeto di bottiglie rotte, i rivoli di urina e vomito non sono certo espressioni di una società vivibile ed emancipata.
Se è vero che, per limitare questi effetti, basterebbe un’amministrazione comunale seria che fornisse alla cittadinanza veri bagni pubblici e capienti punti di raccolta rifiuti, è anche vero che il dibattito in corso su come controllare o chiudere i luoghi del ritrovo giovanile è mal impostato.
Le misure repressive contro la “maleducazione”, dalla chiusura delle piazze alla militarizzazione delle strade, dalle multe alle schedature, nascono sotto il segno dell’anti-socialità e solo per questo sono inaccettabili. Infatti, questi interventi non affrontano i motivi profondi, le cause socio-culturali e soprattutto le responsabilità politico-amministrative che hanno indotto il fenomeno, e perciò non ne colgono il reale significato.
Una società che produce questo genere di “movida” dovrebbe interrogarsi sulla perdita di prospettive (politiche, sociali e culturali) di una parte della gioventù che vomita, nella forma di sgradevoli deiezioni, il proprio disagio nel “salotto buono” della città, in una sorta di istintiva ribellione al vuoto e all’assenza di alternative che la circonda. Lo svago, quando è sottoposto alle leggi del mercato e del consumismo, smette di essere un momento di socialità libera e diventa un rituale ripetitivo per “ammazzare il tempo”, in cui si rispecchia la precarietà generale della vita imposta dalle politiche economiche degli ultimi trent’anni.
Inoltre, la discussione sulla cosiddetta “movida” in città è sempre più un paravento per distrarre l’attenzione dai reali problemi della città, che non sono certamente quelli “securitari”, ma piuttosto quelli sociali: più che discutere di come contenere, controllare o addirittura recintare e chiudere i luoghi del ritrovo giovanile, meglio sarebbe affrontare questioni ben più drammatiche che sono invece derubricate nell’agenda dell’Amministrazione, come la questione della casa, dei servizi sociali, della mancanza di assistenza ad anziani, famiglie, bisognosi.
Coerentemente con lo scenario politico-sociale emerso col ripristino del pieno dominio dei “poteri forti” – economici, finanziari e speculativi – sulle istanze sociali, è emersa un’idea di città sempre più “vetrina”. In quest’ottica si sono concesse licenze commerciali nel centro storico senza nessuna visione pianificata, producendo quella congestione di cui poi ci si lamenta. E, invece di sostenere attività culturali innovative e di qualità, di piccole dimensioni, diffuse su tutto il territorio e per tutto l’anno, si sono concentrati i finanziamenti pubblici su “grandi eventi” spot, dalle kermesse che sponsorizzano palestre e aziende allo spettacolo senz’anima e costosissimo in cui è stata trasformata la Luminara di San Ranieri.
La responsabilità dell’attuale Giunta PD e del Sindaco Filippeschi è sotto gli occhi di tutti: la politica della “terra bruciata” nelle periferie, ridotte a dormitori, la sistematica chiusura degli spazi sociali, la campagna repressiva contro i “centri sociali” occupati e/o autogestiti (esemplari per miopia gli sgomberi del Progetto Rebeldìa per costruire la “Sesta porta”, dell’ex-Colorificio e del Distretto 42 occupati dal Municipio dei Beni Comuni) e contro le occupazioni di edifici abbandonati e sfitti (le molte iniziative di Prendocasa e l’occupazione di Palazzo Boyl) hanno provocato la fine dei centri di aggregazione fruibili dalle varie fasce di età e di interesse (non mancano gli spazi, se no a pagamento, solamente per concerti, ma anche per dibattiti o assemblee).
Non basta (ed è fuorviante) appellarsi ad un presunto “decoro” imbalsamato e stantio, o ricorrere a misure di sapore repressivo, per riportare la “movida” su binari accettabili da tutta la cittadinanza: per fare questo occorre ridurre la disgregazione sociale (in cui peraltro allignano fenomeni di microcriminalità) e investire per rilanciare politiche sociali e culturali opposte a quelle adottate in questi anni dalle giunte di centrosinistra governate dal PD. Occorre permettere (non reprimere) l’aggregazione politico-culturale spontanea dei centri sociali, occorre incoraggiare iniziative autorganizzate (come il Teatro Rossi Aperto), sostenere la riappropriazione di spazi abbandonati (come la restituzione alla fruizione della cittadinanza dei “campini sportivi” della Fontina), valorizzare le iniziative dei comitati di quartiere volti a rivitalizzare le periferie, da Gagno a Sant’Ermete, promuovere iniziative artistiche, musicali e teatrali sperimentali, fuori dai “soliti giri” di chi ha il monopolio degli spettacoli in città.
Sarebbero quindi necessarie politiche del tutto alternative per evitare che il bisogno di socialità giovanile si scontri con altri bisogni, altrettanto legittimi, della cittadinanza: investimenti finalizzati a sviluppare interventi e strutture nei quartieri per la socialità degli anziani, dei bambini, delle famiglie, dei giovani, con la diffusione di biblioteche e ludoteche, spazi per il teatro e la musica.
Con la repressione o le prediche da benpensanti, ipocrite e inutili, non si risolvono i problemi: rispetto alla visione dominante di città interpretata dal Partito Democratico e alle mistificanti reazioni perbeniste, occorrono soluzioni opposte e alternative, attente ai quartieri periferici quanto alle zone centrali, non piegate alle pure logiche del mercato e del profitto.